Il mobbing è un fenomeno complesso, non normativamente tipizzato, consistente in una serie di atti e comportamenti vessatori protratti nel tempo e posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo (Corte cost., sentenza n. 359/2003)

Stante la definizione appena riportata e ormai assodata in Giurisprudenza, si ritiene opportuno precisare che nel rispetto dell’onere della prova ex art. 2697 cc, spetta a colui che assume di aver subito la condotta vessatoria, l’onere di provare l’elemento qualificante del mobbing.

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Ordinanza n. 10992/2020 ha fornito delle delucidazioni sul punto, affermando quanto segue: “ai fini della configurabilità di una ipotesi di “mobbing”, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione”.